Se indaghiamo sul sentimento di amore umano, si nota che è la visione di una separazione che si cerca di riunificare.
L’uomo ha creato tanti modi per poterlo ritrovare sia in una coppia che in funzione religiosa = UNITÀ.
L’amore vero non ha limiti, e include tutto. L’amore ‘umano’ tenta di ovviare a una separazione e proietta su qualcuno o qualcosa che possa riunirsi con la propria ombra e ritrovare gioia e serenità.
L’esterno è solo un’apparenza di elementi non accolti internamente, belli o brutti che siano. È una separazione solo mentale che ci fa apparire due corpi distinti in comunicazione fra loro.
Nell’amore vero non è possibile una divisione: siamo tutti cellule riunite e fatte di atomi vuoti, senza origine e senza spazio-tempo ‘reale’.
E’ la mente che crede nella separazione, nella distruzione e poi nella riunione di contrari. Il sentimento di amore che possiamo percepire e non ’oggettivare’ e personificare con nomi o oggetti esterni, rappresenta un tentativo di ’apertura della coscienza’ che si è creduta ‘individuale e separata’ e che cerca in tal modo di riunirsi ad un oggetto che le appare come esterno.
Si realizza poi che tutto è coscienza-amore senza limiti e che include, bello e brutto, buono e cattivo. Se siamo abituati fin dai primi balbettii a considerarci non solo separati, ma viventi in un mondo di dualità fatta di buoni e cattivi, da cui dipendere o difenderci, il senso di amore diventa ristretto e perde la sua qualità universale.
Non si tratta di diventare né poveri sottomessi ad atti brutali, né vittime senza difesa, ma di prendere le misure necessarie, pur restando nell’unità interna che tutto unisce.
Finché c’è senso di separazione, l’amore diventa uno strumento di protezione invisibile, ma che ci fa sentire bene, anche se ci dà momenti di totale senso di unità e gioia. Se riusciamo a sentirlo senza alcun senso di un’altra individualità esterna, ecco sopraggiungere quello che tanti mistici hanno provato e cercato di trasmettere.
È un senso di unità inspiegabile, che senz’altro molti bambini hanno provato, sia nella natura che in altri momenti: è il senso del divino che è ’ sempre in noi’, ma spesso molto offuscato da problemi psichici, o di educazione rigida, di religiosità male intesa, quando non è fraintesa addirittura come fenomeno di malattia… mentale!
L’amore vero e sincero anche tra due persone, può essere lo strumento per arrivare a sospendere le barriere corporee e relegarle al loro ruolo quotidiano e utile, ma senza intaccare questa primitiva e vera sensazione di ‘essere-vivere’ che deriva dal primo respiro ’esisto’.
Ritorniamo per un momento al paradiso, prima della ‘caduta’. Quale caduta? Il fatto di avvertire la separazione …mentale tra individuo e il mondo – del resto creato da lui. Questa separazione poi inculcata e travisata da educazione e abitudini, si protrae e si solidifica, creando ogni sorta di problemi e anche tragedie.
Il mistico, l’artista vero, hanno superato quella soglia, ma spesso o sono considerati folli o diventano santi e messi sugli altari (di frequente, per accaparrarsene il potere e sottometterli).
Alcuni perfino sono etichettati come schizofrenici e perfino Ma Ananda Moyi – che fin da bambina sentiva naturalmente e costantemente questa indefinibile unità – fu da alcuni definita in tal modo!
In definitiva – se andiamo ancora più in fondo alla questione – questo senso di essere, di esistere che ci accomuna (anche se ci crediamo separati) è frutto di un sottile concetto mentale e fa parte del mondo che ‘appare’, ma resta in definitiva un miraggio e che ci sprona a scoprire prima il testimone di tutto questo e poi vederlo solo come un’etichetta e quindi fare il salto ‘non-mentale’, all’oltre e al ‘non- so-che – non -so’. Ecco che in tal modo non ci identifichiamo più a un concetto e a un oggetto mentale e naturalmente viviamo la nostra vera natura, ma senza mai poterla oggettivare o descrivere: lo siamo tutti da sempre. Solo pochi ce lo hanno indicato, ma spesso sono considerati ’speciali’ o inimitabili, anche se tutti parlano in realtà della nostra autentica natura collettiva. Lo siamo, ma non lo vediamo-viviamo.
Una volta ritrovato il cammino del ritorno, continueremo a vedere paesaggi e persone, cielo e mare, ma rimarremo naturalmente sempre al di qua dello spettacolo, dei suoi fantasmi e di un vago senso di un IO – pronome grammaticale – che si dibatte per farci rimanere in suo potere, pur lavorando e vivendo come chiunque altro.
Cuore e mente si sentiranno più che mai uniti, dal momento che in realtà non sono ma stati divisi, ma solo creduti tali.