(tradotto da « All else is bondage » di Wei Wu Wei)
e altre considerazioni
“ Non ci sono esseri senzienti che il Tathagata possa liberare. Se anche l’io o il sé non ha esistenza oggettiva, quanto meno ne ha qualcosa al di fuori di sé! Quindi né Buddha né gli esseri senzienti hanno un’esistenza oggettiva”. HUANG PO
-Non c’è qualche “cosa” che sia un sogno(o miraggio o illusione o allucinazione), il sogno come cosa-in-sé non è così. C’è un fenomeno, un sognare apparente, allo stesso modo in cui vi sono diecimila fenomeni dovuti a un apparente vedere, un apparente udire, un apparente sentire, un apparente odorare, un apparente gustare e un apparente …sapere. Questi oggetti, apparentemente percepiti dai sensi, non sono affatto entità. C’è solo un percepire di oggetti apparenti che si muovono nello spazio apparente e nell’apparente sequenza periodica del tempo.
Nella “vita” quotidiana, gli apparenti “altri” esseri senzienti che percepiscono attraverso i sensi gli stessi fenomeni che noi percepiamo, sincronizzati nel tempo apparente, sono essi stessi fenomeni, percepiti vicendevolmente o vicendevolmente non-percepiti, ma non c’è altro che il percepire, come nel sogno non c’è altro che il sognare. Se il sognatore si sveglia, il sogno finisce, e non ci si pone la domanda riguardo agli altri “esseri” o altri fenomeni del sogno, se quelli continuano le loro attività del sogno o se si sono svegliati. Lo stesso per la vita, chi si sveglia non considera se i suoi compagni di sogno, nel sogno vivente sono svegli o se continuano il loro sogno “vivente”, perché ora sai adesso che nessuno di loro – e nemmeno colui tra quelli che apparivano essere…lui stesso – non era altro che un oggetto fenomenale dell’ipotetico sognatore. Nei due casi l’apparente realtà dell’evento sognato è sparita per sempre.
Per quanto concerne il sogno di secondo grado (notturno) è evidente per tutti noi, poiché eravamo il presunto sognatore e ora siamo svegli, ma nel sogno di primo grado o “vivente”, che è essenzialmente identico, abbiamo difficoltà a vederlo, poiché siamo ancora dei partecipanti attivi nel nostro sogno e in tal modo siamo inconsapevoli che siamo stati sognati!
Tuttavia, in questo sogno “vivente”(o di primo grado) abbiamo la possibilità di diventarne consapevoli e allora ognuno di noi che fa questo, può riconoscere che non è l’apparente entità nel suo sogno personale che credeva di essere, ma invece l’apparente sognatore del proprio sogno personale. Anche questo riconoscimento è chiamato “risveglio”. Ma non può far svegliare poi gli “altri” nel suo ultimo sogno – perché essi erano solo suoi oggetti e non entità di diritto, non più di quello che lui stesso era nel suo sogno.
Perciò ogni sognatore può solo svegliarsi dal proprio sogno, dal sogno in cui partecipava come “se stesso”, perché anche se i suoi amici viventi apparivano nel suo sogno, agivano solo come suoi oggetti – che gli accadeva di visualizzare.
Gli “Altri” sono quindi solo nostri oggetti; come li conosciamo, non sono entità a pieno diritto, ma appaiono soltanto come tali, ognuno come sognatore del proprio sogno, ossia soggettivamente.
Una volta sveglio tuttavia, ogni sognatore trova che era l’apparente soggetto di tutti gli oggetti del suo ultimo sogno “vivente”, ma ora non è neppure un’entità – perché non esiste più come oggetto, eccetto nel sogno “vivente” di “altri”.
Egli è pura soggettività incondizionata attraverso la quale era sognato, come tutti gli altri esseri senzienti sono sognati e la cui apparente esistenza senziente è nient’altro che quella.
Quando il sognato si è svegliato dal suo sonno-sogno, non fu mai il sognatore, ma egli stesso era sognato. Davvero mai ci fu un sognatore: solo il fenomeno di sognare.
Ecco cos’è il sogno” vivente”, ossia un’oggettivazione della Mente in cui le entità apparenti non sono come sembra e il cui sognatore non è mai esistito come oggetto e mai potrà essere un oggetto di suo pieno diritto – perché mai ci potrà essere una simile ”cosa”.
Altro esempio di sogno “vivente”: entri in un ristorante, vedi una tavola, ascolti le parole della gente, gusti ciò che è nel tuo piatto, odori il profumo del vino nel tuo bicchiere, senti il peso delle posate nelle tue mani, e sai che stai facendo colazione.
Ti faccio notare che tutto ciò che hai percepito succede nella tua mente, le cui sensazioni sembrano poter farlo percepire, ma in realtà nulla di ciò è apparso veramente come una serie di eventi sperimentati da te. Alla fine tu, come identità indipendente, i cui sensi sembravano sperimentare tutto questo, sei introvabile. Come può essere? Ricorda la storia dei monaci che litigavano a proposito di una bandiera che sventolava al vento: se era la bandiera o il vento che si muoveva. Hui Neng(6 patriarca) disse loro che era solo la loro mente che ne era responsabile ed essi riconobbero la verità.
La non-entità. Solo un oggetto può essere in “ schiavitù’’. Il soggetto non può né essere in catene né liberato, ferito o adulato, toccato o negletto. IO non posso essere un oggetto in nessuna circostanza. ”IO” posso solo essere soggetto sempre e ovunque, in ogni circostanza. Ma, come soggetto non c’è mai il “sempre” – poiché non vi è tempo e non c’è alcun “dove” – poiché non c’è spazio, non ci sono circostanze – infatti non c’è movimento.
Sono solo eterno Soggetto – né nell’eternità né nel tempo apparente potrò essere conosciuto, né esserci qualcuno che mi conosca – poiché nessuna entità simile come “IO” potrà mai esserci.
“IO” come soggetto non posso vedere, sentire udire, odorare o gustare o sapere, perché solo un oggetto può avere organi o attributi, e non c’è nessuno e nessuna cosa che sia appresa sensorialmente.(Queste manifestazioni fenomeniche sono la prajna dell’Assoluto, che sempre ritorna al suo aspetto immutabile che mai lasciò.)
L’universo apparente è una struttura di sogno soggettiva e quindi non può essere che il soggetto-IO. Perciò nulla di quanto succede in esso, può toccare o raggiungere il soggetto che esso è. Entrambi, il vedente e il visto, l’udente è l’udito, l’offeso e l’offendente sono il Soggetto, non come dualità ma come unità. L’uomo che mi odia e mi picchia, e il me che è odiato e picchiato, sono entrambi IO, non come due entità, ma una sola. Io che lo odio e lo picchio a mia volta sono entrambi IO, poiché ogni possibile manifestazione appartiene al soggetto IO. Allora sono pura Soggettività? No: la soggettività è uno stato, una condizione concettualizzata, perciò un oggetto. Non sono nulla del genere e di nessun genere. L’IO non può essere concepito, suggerito, indicato e conosciuto. Come “IO-sono Quello”, IO non sono. Eppure non c’è nessun momento in cui IO posso essere nient’altro che IO, né tu null’altro che IO, né la vespa o altro animaletto, null’altro che IO. Sono eternamente sveglio e una NON-entità.-
-Solo evitando le intenzioni, la mente si libera dagli oggetti.- SHEN HUI
Soltanto chi crede di poter vivere secondo il proprio piacere, può avere intenzioni. Se sa veramente che come entità apparente è soltanto ”vissuto”, come può mantenere intenzioni? Senza intenzioni non abbiamo da creare concetti: c’è l’agire e basta. In questo modo si trascendono i concetti senza sopprimerli, si evita l’esercizio della volontà propria(wu nien). Assenza di azione volitiva e assenza di azione non-volitiva, nel senso che non si sopprima volontariamente o concettualmente l’attività(wu wei). L’IO crede alla volontà propria,(se è in accordo con l’inevitabile è un gesto vano e se in disaccordo è come un uccello che sbatte contro la sua gabbia) ma è una fantasia ed è precisamente questa fantasia che crea la sofferenza. Nell’assenza della fantasia del sogno c’è la beatitudine del sonno profondo e nell’assenza della fantasia di essere vivi c’è la beatitudine del nirvana o vita “risvegliata”.
La volontà nel suo aspetto fenomenale è un concetto dell’IO, della causalità, mentre nel suo aspetto noumenale(reale) non è affatto così, né si manifesta , ma funziona come un’urgenza spontanea, indipendente da giudizi, opinioni ecc. Il vivere senza la volontà propria, è l’Uomo del Tao.
88888
Un’altra storia simile a quella riferita prima, di Hui Neng: uno studente del Tao cercava un maestro. Un monaco gli indicò una montagna dove l’avrebbe trovato. Questi s’inerpicò fino alla cima e trovò un ragazzo al quale chiese del maestro. Egli gli rispose con semplicità: – È andato a raccogliere erbe.-
La comprensione non verbale si fece subito strada.
Finché siamo legati dai condizionamenti di oggettività, di concetti, nomi ed etichette, troviamo difficoltà: non ci sono oggetti tranne che nella mente, né opposti-bene-male- ma solo complementarità apparenti. L’ovvio è nascosto da questi preconcetti ed è la causa del nostro guardare sempre nella direzione sbagliata.
Tutto quanto esposto sopra non vale nulla, se incollato solo a livello intellettuale-controllo, nonostante lo crediamo. Se è davvero visceralmente integrato, lo si vede da quanto le ’’cose” cui tenevamo tanto, ci lasciano senza rammarichi. Anche se “crediamo di agire” siamo agiti ma un’altra trappola è dire: ”Lascio che tutto accada da sé”(inconsciamente= così posso fare quello che(io) voglio). Per uscire davvero dalla separazione tra sognatore ed eventi del sogno(vivente) si tratta di vedere, accogliere, assimilare tutto quello che involontariamente abbiamo cercato di camuffare, interpretare, spesso per piegarsi ai dictat di un inconscio ferito e condizionato da strati sottili che diventano quasi entità prepotenti e non viste! Dire: “Tanto tutto è zero, nulla da fare, stiamo sognando”,(come molti advaitin anche sinceri) è essere manipolati dalle nostre memorie, invece di accogliere umilmente con onestà totale, ogni sensazione spiacevole o peggio, ringraziarla! perché sempre riferita al punto di partenza dell’ologramma di nascita che abbiamo dimenticato e ci controlla. L’inconscio non visto (memorie) e la mente dominata da quei corpi invisibili e sottili dominanti(maya) è naturalmente proiettato sull’oggetto esterno(sogno, apparenza, ma che ci sembra reale ed è spesso una stampella indistruttibile), tuttavia se scoperto, accolto nonostante il dolore ricomparso, si rivela il miglior…concime per la nostra pianta fiorita. Nulla da fare, nulla da modificare, ma solo accogliere ogni attimo con onestà totale, visceralmente e allora le cose ’’inutili’’ ci lasceranno da sole senza alcun atto di volontà: è il miglior metro di misura.
È il non-fare vero che elude la confusione-controllo, coperta dal falso’’lasciar accadere’’, altrimenti è solo un bel cerotto inutile e dannoso. Il sogno si può rompere davvero se si ha il coraggio e l’onestà di incontrare ciò che ha fatto male, ma è stato dimenticato, perché spesso troppo doloroso – per es. in un bambino( il “troppo” per ognuno è un metro variabile) – ma si intravede poi nel filo apparente della vita, durante le attività, la famiglia, il lavoro ecc.
Un esempio vissuto. Un uomo di mezza età straniero fuggito da tempo da un paese “difficile”, si era …invaghito dell’advaita. Si rivelò poi che dopo “abusi” durante l’infanzia e poi …ecclesiastici(!) e altri problemi che sembrava aver risolto, si era poi rivolto anche alle “scienze occulte” sia per maledire(con effetti davvero tragici, anche se forse non ne era davvero consapevole della gravità), sia per “guarire”(potere=io)le persone, faceva pellegrinaggi devoti e seri e sembrava aver ‘’capito tutto’’. Per lui tutto andava bene, magìa-potere-distruttore e …spiritualità-devozione, perché? Perché tanto era tutto un sogno. Viveva nella dualità più completa, ma il suo quasi-mantra era ?? -Tutto accade da sé, “io” non faccio nulla, è solo un sogno.- È come il marinaio che a buoni conti tiene in ballo due àncore, semmai una si dovesse spezzare.
Che dire? Ho provato a chiarirgli la faccenda, ma probabilmente nel suo ologramma già scritto, la vera comprensione non era ancora raggiunta. La porta era ancora chiusa, anche se – in apparenza- era ben aperta.
Un malessere, una malattia grave, una rapina, un’insolenza ecc. ecc., tutto è solo specchio(spesso ingigantito) a cui poco alla volta potremo non solo smettere di reagire(senza sopprimere) ma trasformarlo in energia, se avremo accolto la situazione o l’esperienza profonda che è rimasta, spesso ingigantita, sia dall’eredità, sia da fattori di nascita e d’infanzia. Non avendo più forza antagonista, questa si trasforma.
Si possono citare mille esempi: un dente che duole, un organo malato, corrispondono a energie che non circolano bene e a un fattore psichico corrispondente. Un incidente stradale, una guerra, un terremoto, un’eruzione e inoltre la prigionia, la tortura: che cosa rappresentano per la persona che li vive? Le esperienze di decenni di Stan Grof, lo mettono in evidenza: sono i momenti memorizzati dal nascituro durante il parto, che si ripetono nell’arco della vita, a seconda di quale momento si è verificato il blocco. Ancora una volta si potrà dire davvero “tutto è me stesso” e non sono etichette da mostrare, ma esperienze memorizzate dal feto e poi neonato e che si manifestano con mille aspetti e vicende simili, nell’apparenza temporale di una vita.
Tutto è qui-ora – né qui né ora e tutto è mia proiezione(non per scambiare concetti). Anche la scienza è riuscita a dimostrare che ogni cosiddetta “mia” decisione è in effetti già in atto poco “prima” nel cervello e inoltre hanno potuto dimostrare che ogni apparenza di un universo percepibile(corpo-mente compresi) si rivela …inesistente.
Gli sciamani di tutti i tempi(ma dov’è il tempo?) insegnano il non-fare(cambiare atteggiamenti nel quotidiano) e si auto-guariscono con i suoni, per uscire dal bozzolo che malgrado tutto ci rassicura, anche se esiste un continuo ribellarsi a ciò che è(creando sofferenza)rimanendo incastrati nei vecchi schemi e…prigionia.
Un’altra verifica di quanto detto è l’omeopatia unicista che è un modo “vibrazionale”, un diapason simile che corrisponde al male vissuto dal paziente: non facile trovarlo, ma se lo si trova – dopo intense interrogazioni – la guarigione può essere istantanea o prodursi dopo la ripresa costante del rimedio che tocca man mano gli strati più profondi. Non è una questione di fede, ma di lunga pratica di secoli. Di nuovo si riunisce il simile col simile, il male è accolto, assimilato e ne deriva la guarigione.
Una donna assassinata contiene in sé una violenza enorme inespressa; se vivi una guerra o fai musica violenta per scaricarti, è in te che succede per tentare un equilibrio che si rivela passeggero. Una ragazza mi raccontò che fu stuprata due volte da adolescente. Imparò l’astrologia transpersonale per venirne a capo e quando capì davvero che non era mai riuscita a vivere un enorme forza che aveva in sé, per adattarsi alle esigenze familiari o dictat sociali, si sentì libera,…cambiò vita e mai più dovette avere problemi del genere. Un’altra, con un inizio di cancro, capì qual’era il suo vero problema e poco alla volta poté tornare alla normalità.
Un’ennesima prova che tutto è noi stessi e che inseguiamo il sogno dell’IO, ma si tratta di vederlo nei dettagli, altrimenti…sembra che si debba ripetere ancora e ancora l’esame!! I saggi che morivano di malattie incurabili senza lamentarsi, avevano già fatto il ’’salto’’ ben prima e quindi tutto il resto non riguardava assolutamente più la “persona” che ormai era…già morta. (Come la storia del bicchiere ‘’già’’ rotto di cui parla Levine, nelle prossime righe tradotte). Se riuscissimo a farlo anche noi, sarebbe magnifico, ma in occidente questo è davvero raro, dati i condizionamenti educativi molto forti. Ci sono anche altri modi di vivere le dipendenze negative, compensandole, ma la costante presenza a sé è il gran guaritore.
La mente(ego) cerca ogni astuzia per governare e nascondere, si tratta di inseguirla nei suoi labirinti, vedere come ci piglia in giro. Questo, evidentemente, se la faccenda è GIÀ nell’ologramma di concepimento-nascita: altrimenti sono parole inaudibili e vuote.
8888888
Qualche frase riassunta da :” Qui meurt?” di Stephen Levine
Quando vediamo la radice di ogni esperienza, c’è posto sia per la tristezza, il dolore, sia per la gioia. Per la tristezza è più difficile e cerchiamo di sopprimerla. Tutti abbiamo conosciuto un lutto e portiamo il segno di vecchie cicatrici, poiché viviamo in un mondo di eterno cambiamento, nessun terreno stabile, con desideri che ci tormentano se non esauditi. La sofferenza nasce dall’attaccamento a cose e persone legate al tempo, dal tentativo di impedire che le cose siano come sono, di fermare il cambiamento. Anche quelli che hanno fatto della verità una priorità, rischiano di provare il dolore di un lutto o di qualcosa che li privi di quel contatto del loro cuore… con loro stessi. Potremo però scoprire quanto abbiamo cercato di proteggere la nostra vita e ristretto la gabbia per sentirci al sicuro. Invece tutto ciò che inizia, ha una fine: anche il nostro respiro è un costante penetrare e poi un uscire di…aria, dal primo momento della nascita a quello finale della morte. Tuttavia possiamo vedere che tra un inizio e una fine c’è uno spazio da cui nascono le forme passeggere: se ci fermiamo lì, in quello spazio, calmo, testimone di tutto senza attaccamenti, possiamo vedere oltre il movimento incessante dei pensieri illusori, con un senso di equilibrio, non-attaccamento e di spontanea compassione. Da lì possiamo osservare il movimento della mente incostante.
Un giorno qualcuno domandò a un maestro di meditazione tailandese:-
-In questo mondo dove tutto è incostante, ove lutti e afflizioni sono inerenti alla nostra nascita sulla terra, come intravedere un po’ di felicità o di sicurezza?-
Il maestro prese un bicchiere di cristallo accanto a lui e disse:
– Per me questo bicchiere è già rotto. L’apprezzo, mi serve, bevo l’acqua che contiene e a volte riflette la luce del sole, se lo colpisco leggermente emette un tintinnio piacevole. Ma se il vento lo fa cadere dallo scaffale, ove l’avevo posato o gli dò maldestramente una gomitata, cade a terra e si rompe, allora dico:-Certo. È così.-
Se ho realizzato che questo bicchiere è già rotto, ogni istante in cui mi serve è prezioso. Ogni momento è quello che è, senza alcun bisogno che sia altrimenti.-
Se realizziamo che il nostro corpo è già rotto come il bicchiere, che siamo quindi già morti, la vita diventa preziosa, ci apriamo ad essa com’è, momento dopo momento. Quante morti sono già avvenute nella nostra famiglia? Se viviamo la nostra vita come se fossimo già morti, questa prende un altro significato: le nostre priorità cambiano, ci rendiamo conto della transitorietà di tutto e una sola cosa conta: lasciamo spazio all’amore. Come può la paura, il bisogno di controllo farci ancora soffrire? E ogni esperienza, forsanche la morte di una persona molto cara, si presenta come una possibilità di risveglio. Se la nostra unica pratica spirituale fosse di vivere come se fossimo già morti, come se fossero i nostri ultimi istanti, cosa diventerebbero i nostri vecchi scenari, le nostre bugie e false apparenze e i nostri miraggi antichi? Solo l’amore senza limiti sarebbe appropriato.