I miti, le favole, le civiltà antiche, la scienza moderna, sono arrivati alle medesime conclusioni: ci trastulliamo con le proiezioni emanate dal nostro cervello prima della nascita e le rinsaldiamo con le memorie acquisite e inculcate durante il primo periodo di esistenza. Il neonato, il bebè dei primissimi anni di vita, vive tranquillamente in un mondo di sogno, o autistico se si vuole, senza separazioni, né definizioni. Tutto è dentro di sé, com’era nel ventre materno, unito al cordone ombelicale.
Anche se, nascendo, dopo le fasi dolorose del parto, i polmoni nuovi gli regalano tutta l’aria circostante, si trova sempre immerso in…se stesso, in un’orgia di colori e suoni che non percepisce come separati da sè.
Per funzionare nel quotidiano, la realtà onirica dall’infanzia in poi è repressa, è considerata socialmente negativa e ricostruita secondo uno schema consensuale alla società in cui vive.
Il metodo è convalidato dall’apprendimento del linguaggio. Le parole sono utili per designare, ma sono ‘’simboli’’, non realtà. Ci aiutano, ma ci chiudono in una scatola da cui poi non usciamo più.
Alcune vibrazioni diventano colori(anche se alcuni soggetti continueranno a vederle diverse come i daltonici), le sensazioni concetti, le emozioni inespresse scendono in fondo all’inconscio. Tutto è schematizzato, diviso, incasellato e il cervello lo memorizza e in seguito indottrina i suoi simili. Perché tutto questo, detto in parole molto…povere?
Trovare un senso di appartenenza e protezione, per non essere esclusi.