di Isabella di Soragna
ovvero Sri Nisargadatta Maharaj.
(da varie fonti indiane)
A Bombay, Vanamali Mansion, Khetvadi lane 10, divenne per molte persone un punto di riferimento spirituale. Qui visse Nisargadatta Maharaj un grande Jnani(saggio realizzato) quasi sconosciuto nei primi anni della sua vita. Egli gestiva un piccolo negozio di bidi, piccole sigarette fatte di foglie di tabacco arrotolato che i poveri fumavano. Infatti egli stesso era un fumatore accanito.
Fu grazie a Maurice Frydman, nei suoi pellegrinaggi alla ricerca di un guru, che Maharaj fu scoperto. Egli aveva visitato il Ramanasramam e Ganeshpuri (ashram di Nityananda) e altri centri spirituali, finché arrivò a Bombay, avendo udito parlare di Maharaj. Con qualche difficoltà trovò la viuzza in cui questi abitava. Fu curioso di capire come una grande anima come Maharaj potesse vivere in mezzo a tanto squallore e tanto fetore, in un viottolo di Bombay, invece che vicino all’Himalaya. Maharaj era un uomo pio, vestito con abiti semplici e immerso sempre in meditazione o Atma Vichara(inchiesta sul “chi sono?”). I dintorni della sua dimora non lo infastidivano minimamente. Egli viveva in disparte, nel suo sottotetto, totalmente distaccato dal rumoroso mondo attorno a lui.
Visitatori indiani e stranieri cercavano la sua compagnia. Era interessante vedere luccicanti auto di marca Mercedes spostarsi lentamente con i loro ricchi proprietari alla ricerca del n. 10 di Kethwadi lane.
Dicono che Maharaj rifiutasse di parlare di sé e le informazioni ricevute provenivano dai primi devoti, per lo più poveri abitanti del quartiere che andavano al negozio per comprare bidi. Mentre compravano, Maharaj conversava con loro, come fanno alcuni negozianti. La particolarità di Maharaj era che parlava con loro soprattutto di soggetti religiosi e non c’erano inutili pettegolezzi, a cui era avvezza la gente del posto. Non incoraggiava le conversazioni futili, col risultato che si fermavano solo quei ricercatori sinceri che rimanevano deferenti ad ascoltare le perle di saggezza proferite dalle sue labbra. Era assai strano vedere persone che venivano a comprare bidi, fermarsi a lungo ad ascoltare attenti Maharaj, che spiegava loro grandi verità con parole molto semplici.
Dal materiale disponibile possiamo credere che Nisargadatta era nato il giorno di luna piena nel marzo 1897. Il suo giorno di nascita coincideva con il compleanno di Hanuman (luna piena di marzo) e per questo fu chiamato Maruthi. Trascorse la sua infanzia in un villaggio chiamato Kandalgaon non lontano da Bombay. Si disse che suo padre si trasferì lì al tempo di una grave epidemia. Quando qualcuno si mostrava ansioso di conoscere la sua data di nascita Maharaj rispondeva seccamente che “non era mai nato”- una dichiarazione filosofica difficile da capire per molti. Riflettendo tuttavia in profondità su quest’affermazione, si può capire che egli si riferisse al Sé mai nato e immortale e non al corpo. Molti suoi devoti rimanevano silenziosi e non cercavano di capire, né di chiedere di nuovo la sua esatta data di nascita.
In vena di ricordi Maharaj a volte diceva: – Mi ricordo di mio padre quando mi portava sulle spalle e questo mi riempiva di gioia!- suo padre era un povero contadino che morì nel 1915. Poiché la rendita della famiglia era insufficiente, decise di tornare a Bombay per guadagnarsi da vivere. Maruthi trovò impiego da un privato, ma lo lasciò presto dato il suo temperamento indipendente. Egli soleva dire: -Meglio un giorno d’indipendenza che una vita senza libertà.-
Maruthi crebbe praticamente senza istruzione. Da ragazzo si occupava del bestiame, lavorava nei campi col padre ed era un vero figlio della terra. Anche i suoi svaghi erano semplici. Quelli che lo conoscevano dicevano che aveva tuttavia una mente molto curiosa, ansioso di conoscere i misteri della vita, i suoi piaceri e dispiaceri. Trasferitosi a Bombay si dedicò in seguito al commercio di bidi in un negozietto di Kethvadi lane. Ebbe molta fortuna e ben presto fu il proprietario di otto negozi. Infine si sposò ed ebbe quattro figli.
Benché il suo commercio fosse florido e la vita confortevole, un vago senso di insoddisfazione lo ossessionava. Cercò l’aiuto del suo colto amico bramino Vishnu Gore che attizzò in lui le domande riguardo al mondo esterno, l’uomo e Dio. Poi divenne amico di Yashwanth Rao che lo portò da Sri Siddharameshwar Maharj, un’anima realizzata, il quale lo iniziò ai misteri della vita, Dio e il karma e lo iniziò con un “mantra”( sillabe sacre).
Questo fu la svolta decisiva della sua vita, considerò Sri Siddharameshwar il suo vero Guru e lo seguì fedelmente sino al suo Mahasamadhi(morte di un saggio realizzato) nel 1936. L’anno successivo Maruthi decise di abbandonare la sua famiglia ed il suo fiorente commercio e si mise ad errare visitando templi e luoghi di interesse religioso. La sua mente era in fermento. Viaggiò verso il nord deciso a vivere nell’Himalaya per non tornare mai più a casa. Dicono che camminasse scalzo in quelle regioni. In uno di quei luoghi incontrò un co-discepolo del suo guru che gli disse che questi vagabondaggi non servivano a nulla e non erano necessari per un aspirante spirituale. Gli suggerì di tornare a casa e di vivere una vita attiva come padre di famiglia e di servire gratuitamente i poveri, il che avrebbe avuto più valore.
Dopo avervi riflettuto a lungo Maruthi tornò a Bombay. Trovò che i suoi negozi erano scomparsi eccetto uno, ma non ne fu affatto scosso e si riconciliò con la situazione decidendo che un negozio era sufficiente per i suoi bisogni materiali.
Routine quotidiana di Maharaj
Maharaj si alzava alle 4 del mattino. Usava a volte il gabinetto pubblico di fronte a casa sua, non badando al fetore che emanava soprattutto in quei vicoli di Bombay. Ci soffermeremo un attimo su questo dettaglio per il coraggio e distacco che egli mostrava usando la latrina pubblica utilizzata da tutti i poveri di un quartiere affollato. Faceva il bagno in cucina, poiché non possedeva una stanza da bagno. Le persone che hanno un’idea di questi vespasiani pubblici, sporchi e puzzolenti riflettano sul fatto che egli rifiutasse il lusso di pavimenti di marmo e di un bagno attrezzato, preferendo “essere sé stesso” e vivere come un monaco in una cella nel suo minuscolo appartamento senza comodità. Si ritirava nel sottotetto che poteva a stento contenere venti persone, quando stranieri ed indiani lo venivano a trovare, ma non era certo una comodità decente nel senso moderno. I devoti che venivano in visita riferivano che egli era assolutamente indifferente a ciò che lo circondava. Se dei ricercatori stranieri venivano da lontane contrade nell’oscuro viottolo al 10 di Kethwadi lane, indifferenti allo sporco e allo squallore, questo mostrava il loro autentico interesse verso Maharaj.
Maharaj non vestiva con drappi color zafferano o collane come fanno i sadhus (erranti che rinunciano ai beni materiali). Non prendeva nessuna posa particolare, era un umile padre di famiglia vestito in modo ordinario come tutti i poveri del quartiere. A ripensarci è difficile capire la personalità di Maharaj, quanto alle sue abitudini alimentari inizialmente era non-vegetariano, ma poi divenne vegetariano ed era amante di dolciumi. Sia le persone del vicinato che lui stesso non amavano affatto parlare di lui come individuo.
Fece una volta una dichiarazione importante: -Mi considero un maschio umano che si sposò ed ebbe figli, che poi incontrò il suo Guru e dopo la sua iniziazione realizzò che era il Parabrahman(Assoluto).
Programma giornaliero di Maharaj
Egli era pignolo per la disciplina e la puntualità. Il programma della giornata iniziava e finiva all’ora prescritta. Si alzava alle 4 e dopo le abluzioni eseguiva le devozioni del mattino davanti al ritratto del suo Guru. Non vi era nessuno in quel momento e la venerazione per il suo Guru era tale che durante il corso dell’arathi (preghiera devozionale) entrava in trance per almeno un’ora. Alle 5 scendeva la scaletta mentre i suoi dormivano ancora e apriva il negozio di bidi. Vendeva bidi, noci di betel e biglietti della lotteria. Dopo qualche tempo suo figlio subentrava per la vendita e lui si ritirava nel sottotetto. Alle 7.30 iniziava la meditazione, seguita da letture del “Dasbodh” di Swami Ramdas o altri libri di santi come Eknath e Tukaram. Alle 8.30 vi erano i bhajans(canti devozionali) per un’ora, assieme ad altri devoti. I canti erano estatici e Maharaj si univa alle danze dimenticandosi di sé. Alle 10 riceveva i visitatori tra cui alcuni stranieri. Era una visione interessante vedere Maharaj danzare in estasi, mentre l’atmosfera si caricava talmente di gioia che anche alcuni stranieri che attendevano si univano spontaneamente ai bhajans assieme a lui.
Prima di iniziare i colloqui, egli si guardava intorno per vedere chi era venuto. Diceva che non era contento che venissero devoti solo per guardarlo in faccia e senza far domande, pur incitandoli molto a farlo. A costoro egli proponeva di recarsi in un ashram e di far pratica spirituale, invece di passare il tempo assieme a lui. Doveva anche farlo perché non vi era spazio per molti sinceri ricercatori nel suo sottotetto, alcuni dei quali provenivano da paesi lontani. Erano delusi e dovevano scendere al piano di sotto per mancanza di spazio. Anche Maharaj era dispiaciuto e quindi proponeva ai ricercatori più ferventi di rimanere al massimo otto giorni e poi di lasciare il posto ai nuovi venuti.
Molto spesso la stanzetta era strapiena, il che rendeva contento Maharaj che parlava con rinnovato vigore, scusandosi debolmente per la mancanza di spazio. A mezzogiorno egli terminava la prima sessione e ne riprendeva un’altra alle 3 del pomeriggio. Al loro ritorno poneva lui stesso alcune domande e incitava i presenti a farlo. I dialoghi erano in marathi tradotti in inglese e registrati da vari devoti presenti. Alcuni testi sono più chiari in marathi che in inglese poiché hanno una loro particolare bellezza.
Quanto ai suoi insegnamenti, di cui esistono vari libri ormai noti, è da segnalare che Maharaj non incoraggiava ad esprimere domande su argomenti per benefici di vita pratica. Egli leniva gli animi tormentati di chi era interessato in modo autentico ad argomenti profondamente spirituali.
Non favoriva nessuna religione, che fosse induista, buddista, islamica o cristiana. Diceva spesso:-Voglio presentarvi uno specchio spirituale in cui potete, se lo volete, vedere la vostra vera immagine.-
Alcuni fatti meno noti della vita di Maruthi
(Sono estratti dalle carte del dr. Rashinker)
Da ragazzino Maruthi aiutava il padre nel lavoro dei campi: aratura, raccolta ecc. Era robusto e servizievole. Il padre in fondo era rammaricato per non potergli offrire l’istruzione desiderata. Il conflitto stava tra il mandarlo a scuola al villaggio più vicino e il bisogno di aiuto alla famiglia, le cui risorse dipendevano dall’agricoltura. In quei tempi, andare a scuola in un villaggio significava per i bambini camminare per 5 o 6 miglia e tornare a casa tardi la sera con la preoccupazione costante dei genitori che attendevano il loro ritorno. Il padre però, avendo vissuto a Bombay, sapeva che una buona istruzione era necessaria al successo, ma per il momento le circostanze erano avverse.
Maruthi quindi aiutava il genitore a pascolare il bestiame e alla sera il padre raccontava alla famiglia riunita le storie di santi.
Maruthi aveva una mente acuta e curiosa soprattutto verso i 14 anni. Si domandava come alcuni semi senza nessuno sforzo potevano produrre tanti cereali, solo grazie a terra e acqua ed altre domande simili, senza trovare risposta. Il padre rispondeva solo che era la leela(gioco) di Dio, da cui ne dedusse che Dio doveva essere davvero potente! Si tormentava sull’esistenza di questo Dio o di altri dèi, senza mai riceverne un’adeguata risposta. Questo finché non incontrò, molto più tardi, il suo Guru Sri Siddharameshwar, che gli chiarì tutto in modo convincente.
Intanto per il momento continuava ad aiutare non solo il padre, ma essendo egli robusto, alcuni lo chiamavano per far uscire qualche bovino da un pozzo nel quale era caduto o cose simili. Era pieno di compassione per i più indigenti e di casta inferiore e si domandava perché Dio non aveva pietà per costoro, creando tante differenze tra ricchi e poveri.
Il padre di Maruthi morì nel 1915 e alcune ore prima di morire lo annunciò al suo amico religioso e astrologo Vishnu Gore. Morì tra le braccia del figlio che lo pianse amaramente.
La vita rurale non inquinata aiutò Maruthi nella sua ricerca, con l’aiuto dell’amico di suo padre Vishnu Gore. Nel 1918 decise di trasferirsi a Bombay per lavorare e aiutare la sua famiglia. Lavorava di giorno e studiava di notte, il che lo affaticava non poco. Ma era necessario per il bene della famiglia. Trovò lavoro come impiegato al porto di Bombay e smise di studiare. Ma invece di dipendere da altre persone decise di mettersi in proprio.
Maruthi diventa Rao Shet
Avendo riunito un piccolo capitale iniziò un commercio di bidi e altri generi. Avendo guadagnato bene decise di allargare il suo commercio con altri articoli, dapprima creò un negozio di coltelleria e poi uno di vestiti già confezionati. Essendo parsimonioso di natura, accumulava denaro. Il successo delle sue sigarette poi aumentava sempre, avendo introdotto un nuovo articolo che piaceva al pubblico. Avendo accumulato denaro a sufficienza si sposò nel 1924. Soleva dire che chiedeva a Dio solo quello che gli spettava, ma avendo guadagnato bene, lo soprannominarono Shet che è un nomignolo per chi ha successo nel commercio.
Pur avendo avuto un successo materiale, continuava a porsi le eterne domande esistenziali:-Chi sono?Cos’è il mondo? Dov’è Dio?- e ad incontrare sadhus, ad invitarli a casa, a prostrarsi, a dar loro denaro e cibo, ma senza molta soddisfazione. Continuò a eseguire le puja rituali, a fare digiuni secondo le istruzioni del padre e della madre e diventò totalmente vegetariano.
Poi iniziò lo hatha yoga, il pranayama e il kumbaka(rimanere su una sola gamba per penitenza). Quest’ultima tecnica gli fece gonfiare il corpo come una rana e la sua speranza di ricevere le siddhi e l’illuminazione non fu esaudita. Allora decise di trovare Dio da solo.
Maruthi Shet incontra il suo Guru
Maruthi aveva un amico commerciante Rao Baagkar, molto religioso e col quale discuteva le pratiche devozionali. Questi soleva far visita ad un santo chiamato Sri Siddharameshwar Maharaj e lo visitava ogni volta che questi si trovava a Bombay per qualche mese: era discepolo di Sri Bhausaheb della linea dei Navnath Sampradaya. Rao, avendo sovente parlato all’amico degli argomenti trattati dal suo guru, lo pregò di accompagnarlo in una delle sue visite. Da tempo non credeva più a tutti quei santi e sadhus che in realtà cercavano solo di farsi mantenere, senza vivere una vita veramente spirituale e quindi fu molto restio a seguire il suo amico dal suo Guru. L’amico insisté chiedendogli di fargli solo un favore personale. Maruthi cedette e si avviò assieme a suo fratello e all’amico. All’entrata del luogo dove si trovava Sri Siddharameshwar, videro alcuni ragazzi che ridevano del saggio e sconsigliavano di andarlo ad ascoltare. Il fratello di Maruthi rifiutò di andarvi, ma Maruthi rimase, avendo promesso di assistere al colloquio.
Quella sera si parlò dello Yoga Vashista e delle pratiche che vi si riferivano. Maruthi capì poco, ma fu affascinato e anche ossessionato dalle parole del Guru. Questi dopo qualche giorno lo fece chiamare e gli volle dare l’iniziazione. Maruthi sapeva che facendo questo doveva obbedire al suo guru ed eseguire i suoi ordini con meticolosità, manifestò quindi senza precisarlo, qualche perplessità. Il Guru lo intuì e gli disse:-Non preoccuparti, se in seguito non vuoi continuare, puoi farlo senz’altro.- Maruthi fu sollevato perché questo preservava la sua indipendenza. Questo mostra la sua natura senza compromessi e la sua sincera, seria e appassionata ricerca del Sé. Quando Maruthi si prostrò davanti al Guru, questi gli chiese di sedersi davanti a lui. Ascoltando le sue parole qualcosa scattò in lui e provò lo stato di samadhi (temporanea esperienza del Sé), la sua identità si allargò a tutto l’universo, finché fu richiamato dal Guru al suo stato quotidiano. E’ probabile che a questo punto ricevette da lui il nome di Nisargadatta, perché ormai maturo spiritualmente(Nisarga= stato naturale – datta = che elargisce), ma non si sa bene quando questo avvenne. Nel 1933 le domande a cui nessuno aveva potuto rispondere fino ad allora, trovarono risposta.
Dopo questi avvenimenti egli continuò il suo lavoro, ma anche le sadhane(pratiche) e capì che ciò lo allontanava in un certo modo dalla famiglia e si sentiva distante dalle sue relazioni abituali. Molti lo abbandonarono non comprendendo che cosa gli era successo, anche il fratello: solo la madre capì che cosa era avvenuto. Sua moglie, che egli trattava con molto rispetto, non intese il suo nuovo atteggiamento.
Fece frequenti visite a Sri Siddharameshvar e, seduto in un angolo della stanza, prese una quantità di appunti quando parlava. Diceva anche che le parole del suo Guru erano cibo e che le mangiava, non le ascoltava solamente.
Una volta disse con tono rispettoso al suo Guru che aveva dubbi ed incertezze su alcuni punti non chiari. La risposta fu:- Non avrai mai più dubbi d’ora in poi -. Da allora non solo fu capace di seguire senza sforzo i discorsi, ma tornato a casa commentò 12 discorsi senza nessuna fatica a gran sorpresa di tutti.
Nel 1936 Sri Siddharameshwar raggiunse il Mahasamadhi e questo addolorò molto Nisargadatta. Decise quindi di ricordare tutti i suoi discorsi e di seguirne i consigli nelle parole e nell’azione.
Nisargadatta parte per Pandarpur
Ripensando alla morte del suo amato Guru, decise di abbandonare tutto quello che possedeva e di partire per l’Himalaya. Senza informare nessuno, il giorno della festa di Deepawali, partì a piedi raggiungendo Pandarpur dopo quattro giorni di cammino. Comperò un tappeto e due “lungi” color zafferano, si tolse le propri vesti e le diede ad un povero. L’ultimo “anna”(monetina) che aveva, lo buttò nel fiume presso il villaggio.
Partì verso il sud senza un piano stabilito. Non conosceva nessuno dei dialetti del sud, ma questo non gli impedì di ricevere cibo quando era necessario. In fondo non gliene importava nulla del corpo ed era disposto a gettarlo via se necessario. Gli venivano offerti, oltre il cibo, dei biglietti per autobus o per treni, ma li rifiutava sistematicamente. Camminava a piedi, quand’era stanco saliva su un treno senza biglietto, ma stranamente mai nessuno glielo chiese, anche se il controllore lo domandava ai suoi vicini di scompartimento, quasi una forza sconosciuta lo rendesse invisibile agli occhi del controllore. Lo stesso gli era accaduto quando era ancora a Bombay, mentre camminava, durante un coprifuoco dovuto a dei tumulti. Le guardie gli passarono accanto senza guardarlo nemmeno e ammonirono altre persone che non rispettavano l’ordine. Nisargadatta fu perplesso per tutto questo, ma lo attribuì alla protezione del suo Guru.
Durante il pellegrinaggio un altro fatto straordinario gli accadde. Era mezzogiorno ed era stanco, affamato e assetato. Cercava invano una dimora abitata, ma non riusciva a trovarne una. Decise di trovare almeno una sorgente d’acqua. Ad un tratto vide una capanna in mezzo ai campi ed egli vi si avvicinò per chiedere aiuto. Il proprietario gli diede il benvenuto, lo fece sedere, lo dissetò e gli offrì cibo dicendogli, a sorpresa, che lo aspettava da alcuni giorni. Dopo aver ringraziato il suo benefattore, si inchinò davanti a lui e ripartì. Dopo qualche passo si voltò per salutare ancora, ma con grande sorpresa vide che vi era solo un’immensa distesa di campi: nessuna traccia di capanna.
Nisargadatta torna a casa
Ora aveva l’aspetto di un sannyasi, la barba ed i capelli incolti e lunghi. Decise dunque di tornare a Bombay, ma senza rientrare ancora a casa. Poi arrivò a Delhi dove incontrò un suo co-discepolo al quale raccontò le sue peregrinazioni. Dopo averlo ascoltato, l’amico gli consigliò di non partire per l’Himalaya, dato che questo era contrario a quanto il suo Guru gli avrebbe consigliato. Nisargadatta replicò: – Si, so tutto questo, ma ho lasciato tutti i miei averi terrestri e quindi non cercherò di ritrovare la mia famiglia.- Rifletté comunque a queste parole e al fatto che una vita di rinuncia(sannyasi) non era basata sull’abbandono materiale, ma piuttosto sulla rinuncia interiore dovuta alla comprensione profonda. Così decise di tornare a casa.
I suoi familiari furono felici di rivederlo, anche se un po’ sconvolti dal suo aspetto trasandato.
Si ripulì, gettò via il materasso e le vesti ocra e tornò a vivere con loro. I suoi prosperosi commerci erano chiusi, tranne un negozio di bidi. Questo tuttavia non lo turbò minimamente, poiché ora era ricco interiormente. Riprese a sedersi al negozio, ma ora i discorsi con gli avventori cambiarono e si concentrarono solo su argomenti spirituali. L’anno dopo tuttavia, a causa delle privazioni del periodo di pellegrinaggio, il suo stato di salute deteriorò molto, anche se cercava di non mostrarlo. Venne un dottore che gli diagnosticò la tubercolosi, ma egli rifiutò le sue cure, dicendo che il suo Guru, le pratiche e gli esercizi specifici lo avrebbero guarito. La sua salute migliorò e dopo due anni aveva l’aspetto di un lottatore! Questo avvenne nel 1940. Si legò d’amicizia con un co-discepolo, Bainath. Nei giorni di monsone sedevano assieme davanti al negozio chiuso e le loro discussioni si inoltravano fino alle due del mattino. Tornati ognuno a casa propria iniziavano i bhajans per un’ora circa. Questa pratica continuò fino al 1966.
Tra il 1942 e il 1948 subì molti lutti familiari. Perse una delle sue figlie, poi sua moglie e sua madre. La figlia era in età da marito ed egli nascose la sua tristezza affermando alle persone accorse per le condoglianze che lei era ormai sposa dell’Assoluto. Sua moglie pur molto religiosa, non era affatto contenta della vita di suo marito. Pochi giorni prima di morire confidò al marito che era stanca di vivere e che non voleva restare in questo mondo. Tutti i tentativi di consolarla furono vani finché un giorno ella lo espresse con vera determinazione. Nisargadatta rispose:- Se questo è il tuo desiderio, così sia!- e qualche giorno dopo ella spirò. Il dispiacere non lo toccava più come una volta e anche i suoi amici e parenti lo trovavano molto cambiato. Un discepolo di Sri Bhausaheb(guru di Sri Siddharameshwar) capitò in quella circostanza senza sapere del decesso. Dopo aver parlato con lui su argomenti spirituali, Nisargadatta lo invitò ad assistere al funerale, con grande sorpresa del discepolo. Poi s’immerse nel canto e nella danza dei bhajans. Il suo spirito si era elevato al di sopra del mondo fenomenale, anche quando di recente aveva perso ancora alcune proprietà. Quando un suo amico cercò di consolarlo per la perdita della consorte egli disse calmo: – Dobbiamo considerarci fortunati di subire queste calamità e anzi dobbiamo dare il benvenuto ad altre che ci potranno capitare.-
Nisargadatta diventa noto ai discepoli come “Maharaj”
Come già detto, Nisarga significa “naturale”, dal momento che la via da lui indicata era appunto naturale, verso il Supremo Traguardo, la nostra vera natura. Egli non aveva mai considerato la differenza tra le caste e – nonostante le proteste dei parenti – lasciò che i suoi figli si sposassero con membri di caste diverse. Anche molti dei suoi seguaci condivisero queste idee. Anche quando vendeva le bidi – che era il modo di sostentare la sua famiglia e che ormai durava da quasi cinquant’anni – mostrava un grande distacco, spesso non contava la somma da pagare e a volte rendeva di più del dovuto. Il compratore gli rendeva poi l’eccedente con un sorriso. Ai poveri non chiedeva soldi per le sigarette, le regalava.
Sempre più gente veniva a trovarlo poiché la sua fama di Jnani si era sparsa oltre le frontiere del suo vicolo. Alcuni iniziarono a prendere appunti ed i discepoli aumentavano di giorno in giorno. Installò nel mezzanino sempre più affollato un gran ritratto di Sri Siddharameshwar. La figlia lo forzava a volte a mangiare, e lui la complimentava, pur inghiottendo il pasto mescolando tutto in pochi bocconi.
Maharaj è invitato a far conferenze
Alcuni discepoli a gran richiesta lo invitavano a casa loro per parlare degli argomenti a lui cari. A volte egli accettava e questo fino al 1974. Altri co-discepoli s’ingelosirono e non lo approvarono, affermando che Nisargadatta non aveva il permesso di iniziare i suoi studenti. Gli chiesero dunque di smettere questa pratica, ma lo fecero per pura gelosia, piuttosto che da un desiderio genuino. Nisargadatta spiegò loro che questo era il desiderio del suo Maestro al quale non poteva disobbedire. Aggiunse anche che se l’autorità gli fosse derivata dal grande ritratto che possedeva del suo Guru, egli non ne aveva bisogno e potevano prenderselo e gettarlo in mare. Ben presto adottò una pratica particolare che consisteva nel far prostrare lo studente davanti ad uno specchio prima di prendere l’iniziazione. Altro fatto, che i suoi gelosi co-discepoli non apprezzarono, fu che pubblicò i suoi appunti presi durante i colloqui con il suo Guru.
Alcuni discepoli volevano insistentemente celebrare il suo compleanno, ma egli accettava riluttante, chiedendo di spendere poco e insistendo sulla necessità di cantare bhajans. Al loro arrivo offriva loro ghirlande e si prostrava davanti a loro. Non voleva mai accettare denaro. Ad un suo compleanno riuscirono una volta di forza ad offrirgli dei sandali e un vestito, mentre di nascosto alcuni lasciarono stoffe e dolci in segno di affetto. Nisargadatta poi li distribuiva ai poveri del quartiere, affermando che lui non ne aveva affatto bisogno.
Arrivo di Maurice Friedman
Maurice Friedman, un ingegnere polacco, dopo essersi perso nelle viuzze gremite di gente, riuscì a scovarlo. Dopo aver visitato l’ashram di Ramana Maharshi e seguito J. Krishnamurti nelle sue tournée, arrivò a Khetwadi lane n.10 nel 1965. Rimase quanto più gli era possibile con Maharaj, imparò l’hindi ed il marathi e dopo aver trascritto i dialoghi a cui assisteva, aggiungendo anche commenti che mostrava sempre a Nisargadatta, produsse il best-seller mondiale “Io sono Quello”.
I miracoli di Maharaj
Un giorno un discepolo gli chiese se poteva pubblicare un articolo per potergli fare pubblicità. Si arrabbiò e rispose: -Vedo la realtà come gli altri e indico la verità più ovvia. Che bisogno c’è di pubblicità! – Poi indicando il ritratto del suo maestro e di altri guru nella stanza: – Se tutto questo è responsabile a farmi della pubblicità, preferirei pagare 100 rupie a qualcuno che se li porti via e li butti in mare!- Maharaj non era conosciuto per compiere miracoli e non amava affatto parlarne, ma molti ne furono segnalati da varie persone.
Ne indico solo alcuni. La nipote di Maharaj stava morendo, i dottori non avevano più speranza e le davano al massimo poche ore di vita. La vita scivolava via da quel corpo e il marito ed i familiari disperati erano già pronti ad organizzare il funerale. Maharaj andò a trovarla e vedendola sdraiata l’apostrofò così:- Ma che roba è questa? Perché dormi a quest’ora? Alzati. Il tuo “Mama”(suo nomignolo) è qui e non lo hai visto da tempo. Non gli prepareresti una tazza di tè?- Sentendo la sua voce la donna si alzò e tra lo stupore generale si mise a preparare il tè per Marahaj.
Una donna che seguiva gli insegnamenti di Maharaj dopo una lunga assenza tornò da lui. Era piuttosto imbarazzata e nervosa per quello che Maharaj poteva pensare di lei. In aggiunta a questo Maharaj le rivolse queste parole: – Perché sei venuta qui? Torna a casa immediatamente. Non rimanere qui nemmeno un minuto!- Ascoltato questo la donna molto dispiaciuta pensò che il suo Guru fosse arrabbiato con lei. Piangendo tornò a casa e trovò il marito in gravi condizioni di salute. La sua presenza era dunque indispensabile poiché dovevano portarlo d’urgenza all’ospedale. A quel punto realizzò il motivo dello strano comportamento di Maharaj.
Un altro esempio è quello di un discepolo che fu portato all’ospedale per una grave malattia. Maharaj gli era affezionato per la sua purezza di cuore. Appena finito il bhajan uscì per cercare l’ospedale molto lontano da casa sua. Non prendendo un taxi, aspettò l’autobus che – come si sa in quelle grandi città – si prende dopo lunghe code. Arrivato all’ospedale lo informarono che il discepolo era appena morto. Arrivato all’obitorio davanti al cadavere dell’uomo esclamò: – Come puoi andartene senza il mio permesso?- Mise una mano sul suo cuore e lo chiamò per nome chiedendogli di alzarsi. Questi ritornò in vita.
Un giorno mentre passeggiava con alcuni discepoli, fermandosi davanti ad una banca disse ad uno di loro:-Ti piacerebbe lavorare qui?- L’uomo disse che sarebbe stato un sogno trovare un impiego simile. Qualche tempo dopo il discepolo ricevette una lettera in cui gli si offriva un posto in quella banca.
Guarì anche una ragazza con la tubercolosi evitandole una difficile operazione. Altri discepoli ebbero molte esperienze simili, ma Maharaj li ammoniva di non rendere pubbliche queste cose, aggiungendo che lui comunque non faceva assolutamente nulla.
– Non venite da me come al bazar – diceva -. Fate come vi dico. Abbandonatevi totalmente al guru all’interno di voi e tutti i vostri problemi spariranno.-
Maharaj rimase un uomo semplice in un’umile dimora. Vestiva come chiunque altro e solo gli occhi che lanciavano fiamme mostravano il suo dinamismo spirituale. Parlava solo in marathi ma capiva l’inglese. Non formò mai organizzazioni. Non accettava regali e non voleva essere trattato come un Guru. Nella rivista “The Hindu” citano una sua espressione:
-Quando me ne vado in giro, sono solo un vecchio che passeggia. Nessuno mi infastidisce e posso andare dove mi pare.-
Lo scopo della vita per lui era di liberarsi dalla sofferenza che deriva solo dalla nostra profonda e radicata identificazione col corpo-mente.
Solo il Sé È, impersonale e pura presenza, al di là dello spazio-tempo. Senza attaccamento vi è solo beatitudine ineffabile. Il desiderio è il “cattivo” della commedia.-
Presi dalla memoria del passato e sognando un roseo futuro non viviamo il presente che è la sola Realtà. Risiedete nell’Io-sono senza il pensiero “Sono questo o quello”. Non siete separati dal mondo. Non siete nel mondo, ma il mondo è in voi. Siete avvitati alla vostra identità corporea e mentale: provate a svitarla e poi gettate la vite!
Nisargadatta era un buon nonno e i nipotini lo chiamavano “Bappa”(nomignolo per Dio) accucciandosi e arrampicandosi su di lui e facendogli scherzi. Si divertivano ad accendere il suo accendino e a versare per terra l’acqua del bicchiere posto vicino a lui, mentre parlava seriamente con Maurice Friedman. Quando esageravano o se c’erano molti visitatori chiamava la nuora perché se li riprendesse. A volte li portava fuori e comprava loro un lassi( specie di orzata di yogurt). Il giorno dell’anniversario del suo Guru prendeva l’autobus e andava a pregare sul suo samadhi(tomba). Quando vi erano delle votazioni faceva la coda anche sotto il sole cocente per andare a votare e così se doveva aspettare dal barbiere per tagliarsi i capelli o la barba.
A volte anche sotto la pioggia passeggiava con alcuni discepoli e si sedeva su una panchina con l’ombrello in mano per chiarire alcuni dei loro dubbi. Poi a volte si fermava con loro a bere una tazza di tè in un tea-room.
Quando qualcuno gli proponeva di accompagnarlo in una lussuosa Mercedes, rispondeva che non poteva accettare, perché lui camminava da solo in comunione col Sé! C’è anche da ricordare che a quell’epoca aveva 80 anni e soffriva già a causa del cancro avanzato per il quale non prendeva alcun medicinale. La sua routine di venditore di bidi, di bhajans e di colloqui rimaneva immutabile.
Non citava le scritture e non ne voleva sapere di fondare un ashram. Desiderava solo comunicare l’insegnamento sia a poveri che a ricchi, se mostravano uno spirito di ricerca appassionata. I dottori, che alcuni discepoli riuscivano a fargli incontrare, erano attoniti nel vedere che non mostrava segni di sofferenza soprattutto nella regione della gola. Soleva dire:
-Tutto questo accade nella coscienza, ma “io” non soffro.-
Negli ultimi mesi mostrò una grande debolezza, ma i suoi occhi lanciavano faville come sempre.
Gli ultimi giorni di Maharaj
Le sue ultime parole furono chiare nel ripetere quanto sempre dichiarava: -Tornate indietro a quello che eravate prima della nascita e all’emergere di un particolare corpo, al quale vi siete identificati senza riflettere. Rimanete lì dove “non sapete”, anche se il vostro corpo è rotto, anche se non avete più beni materiali, anche se il mondo attorno a voi è in fiamme. Che differenza c’è tra la vita e la morte? Non eravate morti prima di nascere?-
Quando alcuni mostravano paura di morire diceva loro: – La paura della morte è il prodotto del desiderio di vivere, cioè di perpetuare l’identità di un IO che non esiste.- Quelli che vivono la Realtà conoscono la falsità della vita e della morte.
Durante gli ultimi giorni diceva: – Cercate di chiarire i vostri dubbi, ora c’è poco tempo rimasto.-
La piccola folla dei poveri che compravano le bidi mostrava gran dispiacere e non riuscivano ad accettare la prossima dipartita di Maharaj. Nonostante il divieto dei discepoli che non volevano stancarlo, egli chiese di ammettere piccoli gruppi di clienti di bidi che volevano salutarlo. Disse loro che non se ne sarebbe andato e sarebbe rimasto con loro a vender bidi. Data la debolezza parlava poco, dava solo “capsule di saggezza”, ma ammoniva anche di non considerarlo un corpo, arrabbiandosi perché i suoi ascoltatori ancora non avevano capito, nonostante i lunghi soggiorni, che lì non c’era nessun individuo.
Gli ultimi momenti di Maharaj
Alle 10 del mattino, l’8 settembre 1981, l’aspetto di Maharaj migliorò, malgrado la congestione polmonare, ma gli fu data la maschera d’ossigeno. Nel pomeriggio peggiorò di nuovo e il viso divenne inespressivo. La tristezza degli astanti era visibile.
Alle 7.32 egli fece la transizione dal relativo all’Assoluto in un clima di quiete e di pace.
Il giorno dopo il suo corpo – com’è d’uso in quella regione – fu sistemato su una portantina, in posizione reclinata e portato al campo di incinerazione di Banganga, mentre una lunga processione lo seguiva. La pira funeraria fu accesa dal figlio dopo una semplice, ma commovente cerimonia con bhajans, accanto all’urna del Maestro di Maharaj. Le fiamme consumarono il corpo di Maharaj e la sua forma fisica si dissolse negli elementi di cui era fatta.
Vorrei solo aggiungere un commento che mi viene spontaneo.
Questi brevi accenni biografici di un “non nato”(!) mostra che Nisargadatta viveva totalmente quello di cui parlava ogni giorno, con semplicità e senza perifrasi, con i suoi visitatori.
In Occidente dovremmo riunire S. Francesco, Meister Eckhardt e forse qualche oscuro padre di famiglia devoto per trovare una similitudine. Maharaj non era molto conosciuto in occidente per la sua devozione, compassione ed umiltà che erano invece immense. Tuttavia egli sapeva iniettare un virus letale, ma che ci poteva riportare a casa.
I suoi non erano concetti su cui poggiare e rilassarsi, ma un trampolino dal quale egli buttava giù i ricercatori più appassionati. Per essi era il capolinea, dove la nascita e la morte erano svuotati dal loro significato, dove lo spazio-tempo si annullava da sé e lasciava senza alcun punto di riferimento. Non si trattava di vuoto o di non-esistenza, che sono ancora baluardi mentali, poiché egli spingeva oltre quelli, verso quell’Ignoto di cui nessuno può parlare, la vera Sorgente inconcepibile che siamo sempre, pur velata dalle nubi dei concetti.
Ci ha rivelato il vero Padre, la radice ultima e nascosta: dobbiamo ritornare al Padre, come disse il Cristo. La madre invece è la maya(l’illusione primaria) in cui cerchiamo rifugio e protezione, credendoci un essere limitato, ma essa ci nasconde il Reale, allettandoci nel mondo della “misura e della dimensione”da lei prodotto, come se il ventre che ci ha ospitato continuasse ad allargarsi a dismisura dopo la nascita, prendendo proporzioni cosmiche, galattiche, mostrandoci una profusione di forme seducenti o mostruose, create invece dallo spazio-tempo fittizio. Ci illude e ci allontana dalla Realtà della radice ultima e senza confini.
Siamo sempre rimasti invece nell’utero, anche se crediamo di decidere, di muoversi, di creare e di evolvere nel tempo. Corriamo solo nella bolla materna, cercando un’effimera protezione dal nostro isolamento di individui, considerando luoghi, persone e situazioni come “esterne” a noi, ma è la maya che ci costringe a recitare il ruolo fissato nell’embrione e a creare uno schermo panoramico su cui scorre un film che non smette nemmeno nei sogni e col quale interagiamo come se fosse realmente a noi estraneo.
Al concepimento tutto è già contenuto nell’infimo dischetto, programmato per mezzo dei cinque elementi e che l’io-sono, l’illusione primaria, dopo il parto, continua a creare in 3D, come un teatro magico sempre in azione e che ci inganna con i suoi richiami. Di fatto questo senso di esistere, è l’amore materno che cerchiamo in tutto e che ci dà un senso di gioia infinita, ma effimera: ad esso si danno nomi altisonanti, ma è passeggero e inconsistente ed è ancora uno stato oggettivabile.
L’arcobaleno è in realtà solo luce unica.
Per uscire dalla bolla seduttrice della madre-maya bisogna solo tornare indietro, eliminare ogni definizione possibile, anche quella dell’io sono, che è la bella mela avvelenata della strega, ma anche la porta di accesso al paradiso. La vera, infinita, eterna libertà ha questo prezzo ed è sempre disponibile per infrangere il sogno che ci incatena.