di Isabella di Soragna
Se sono sveglia e chiudo gli occhi, vado col pensiero verso l’interno, all’inizio del respiro: ecco, sento, so di esistere. Tutto il resto di quanto conosco, riguardo alla persona qui presente, è per sentito dire, per associazioni, memorie, concetti e abitudini. Sono la tal dei tali, sono nata col forcipe, ho sposato XY, sono impiegata o benestante, nullatenente o vagabonda. Queste sono inferenze, attribuzioni che si sono incollate via via su di me, da quando ero in grado di percepire qualcosa di diverso da me, verso i due anni circa. Ma‘’IO’’ ,l’entità che indico con un nome di battesimo, corrisponde veramente a tutte queste identità? O c’è qualcosa di più profondo, più reale prima del nome che mi hanno attribuito? Esistere? Che cosa significa? Respirare, agire? Ma chi agisce, chi respira? Continuo ad occhi chiusi, ad indagare sul senso di essere, di esistere, al fatto di essere cosciente.
Dopo qualche tempo indefinibile, scopro che anche questa è un’opinione: so di essere perché c’è un pensiero, una nozione, un sapere. Se smetto di ‘’pensare’’ anche al fatto di esistere, chi sono? Un senso di sospensione m’invade, una leggerezza, come un annullamento senza alcuna emozione. Non c’ è più oggetto! L’infinito sconosciuto ha spalancato le porte. Anzi lo sono da sempre. Quindi non sono il corpo, che appare subito dopo il senso di essere, ma qualcosa che è ben prima e che non posso più definire!
Il sapere di essere viva, la coscienza, è legata al corpo e a quanto i medici hanno stabilito vedendomi respirare, avendo anche auscultato il cuore che batte. È indissolubile, è un’emanazione dell’organismo. Da questo stato di attenzione dipende tutto il mondo che sorge attorno a me, quando sono sveglia, ed è legato alla visione, agli altri sensi e alla memoria…se funzionano. Coscienza, corpo e mondo formano un tutto indivisibile. Se non c’è coscienza, non c’è né corpo né mondo. Il senso di essere è un po’ come una luce che rischiara all’istante una stanza e tutto un caseggiato, li rivela. Se c’è buio assoluto, dov’è sono finiti camera e palazzo?
Il senso di esistere è il fulcro dell’esistenza, creatore-osservatore dell’apparato psicosomatico e dell’ambiente circostante. Ed è quello che sono, secondo una prima osservazione. Quindi non sono il corpo, un insieme di organi di cui mi hanno “insegnato” i nomi, altri concetti ai quali ho dovuto credere, per consenso generale. La coscienza tuttavia è legata al funzionamento del corpo: se svengo, non so più chi sono e non me ne importa più nulla. Dunque non sono nemmeno la coscienza. Questa è apparsa su Quello che non so.
Se non sono nemmeno la coscienza, che è ancora l’ennesima battezzata di turno, ed è notoriamente un’insieme di funzioni che se lavorano bene, danno l’impressione di unità, che cosa sono? Difficile disfarsi da questa opinione, se ho sempre creduto di essere il personaggio che agisce freneticamente tutto il giorno? Non è stato piuttosto un burattino maneggiato dal senso di essere, dall’ ‘’io sono’’ che, servendosi dell’aria che respiro (neutrale e comune a tutte le creature), mi ha dato l’illusione di essere padrona di quello che avevo deciso e fatto, agitandomi se non ottenevo qualcosa e rattristandomi per ciò che perdevo o mi era tolto. Tutto questo era avvenuto allo stesso modo fin dall’infanzia, con poche varianti. Che fatica!
Un momento! Ma allora… tutto quello che mi hanno raccontato su di ‘’me’’ non valeva proprio nulla? Ma chi me l’ha raccontato? Altri burattini che erano i genitori, i maestri di scuola, gli amici ed i vicini di casa? Ho creduto solo a quello che loro avevano ritenuto vero. Ma chi erano? Anch’essi marionette tirate da invisibili fili nell’oceano di aria da cui hanno pompato la vita…ma maneggiate da chi?
Mi appare l’immagine di un paese sotto l’incantesimo di una maga malefica: la bella addormentata ed il suo regno felice congelato in un sonno senza fine. Sì, ancora una mela avvelenata che abbiamo mangiato tutti, il pomo dell’albero della “conoscenza”, il sapere di essere che ci ha divisi e sottratti al mondo reale, diversificato in un universo mostruoso che prolifera senza fine ed in cui ci siamo aggrovigliati. Città e galassie, divinità, mondi paralleli e popolazioni di ogni colore.
Tutte proiettate dal mio video nel momento attuale.
Nel sonno profondo dove sono andati? Si manifestano solo quando sono sveglia e…cosciente. Ne deduco che mi hanno creata in sogno ed io ho creduto a tutto questo film, come se fosse mia proprietà. Quindi questa energia creata dal respiro, s’immagina di avere un veicolo e mi fa credere di essere quel veicolo. Mi ci incastra dentro, mi soffoca, mi limita e mi fa sentire persa in un mondo alieno…che in realtà produco io stessa dalla mia scatola cranica con video incorporato!!! Da dove viene allora questo senso di essere? Deve pur venire da qualche parte questo pennello che dipinge ogni minuto un mondo stabile e compatto!
Non ho ancora indagato abbastanza, vado avanti. Non sono sola in questa baraonda: ogni singolo personaggio nei tre regni del cosmo produce la propria, con tutte le sfumature le più bizzarre. Percepiamo solo quello che “pensiamo” o sappiamo. E se mi dicono: -Ma allora se c’è una guerra, ci sono carneficine o terremoti nel vicinato, se non le vedi, non per questo è possibile che non siano mai accadute.- -Accadono per chi li percepisce in quel momento e poi all’istante in cui me lo comunichi e me lo fai “sapere”. Se vivo da eremita su una montagna, senza cellulare e c’è la guerra in Afghanistan, non ne potrò “sapere” mai nulla!- Se mi accadono vicende traumatizzanti è la mente che li interpreta così, per il mio collega d’ufficio le stesse vicende non avrebbero lo stesso effetto. Noi siamo solo le nostre percezioni dallo stadio fetale alla morte.
Una donna mi raccontava di aver subìto violenze, finché non si accorse grazie al suo tema astrale che la violenza era in lei inespressa quindi si proiettava fuori. Il tema non serve a sapere quello che mi accadrà, ma piuttosto che proiezioni sono capace di fare e a vedere che cosa mi immagino di creare intorno, con i miei stessi riflettori. E’ come un minuscolo dischetto che contiene già tutto, ma è necessaria la misura tempo-spazio per poterla osservare. Se non c’è osservatore- dicono i fisici-non c’è nemmeno mondo. Se mi punge una zanzara e conosco i meridiani dell’agopuntura, noto che è sempre il punto giusto! Una volta mi arrivò sparato un pallino da fucile da caccia che mi ferì molto leggermente la sommità del cranio. Dopo un primo scatto di paura, mi sentii calma e capii subito che aveva toccato un punto importante di agopuntura che si usa quando la testa è …troppo piena di elucubrazioni e tensioni. Grazie pallino! Non me ne ero accorta…!!!
Non serve solo dire “sento che il mondo è un’unità con me”,“tutto è me stesso”, bisogna toccar con mano il fatto attuale per verificarlo, se no resta intellettuale. Ognuno vive nella sua bolla, credendo di essere il fautore delle decisioni e degli avvenimenti, mentre invece non fa che proiettare le stravaganze dei cinque elementi di base in tutte le possibili salse, ma la coscienza onnipresente in tutti è il mago che si diverte a creare tutte le diversificazioni. Non c’è mai stato nulla “fuori”. Ti accade solo quello che è già nel tuo film, le pietruzze del caleidoscopio sono pronte e si muovono secondo lo schema dell’attimo della concezione, come un inesorabile orologio le cui lancette girano sempre allo stesso modo, ma che danno l’impressione di una lunga vita operosa ed intensa.
Questo agire costante si verifica perché temi la morte,ossia di perdere la tua identità, (anzi le tue identità) legata al concetto”corpo”:in realtà non vuoi perdere “il senso di essere”. Ma quest’ultimo va e viene durante la giornata – è solo la memoria che incolla i pezzi dell’ ‘’io esisto’’- e sparisce nel sonno profondo, quindi che valore ha? Allora è evidente che si può benissimo vivere senza, anzi… non è mai esistito, tranne che come concetto naturalmente. E allora che cosa diventa la morte? Riflettendo bene… mah! Un altro concetto che ti fa immaginare un corpo esanime e putrescibile? Ma se qualcosa non è mai esistito, come fa a morire? E tu sei quel corpo inerte? E che cos’è il “corpo” in definitiva? Un concetto che accomuna una serie di sensazioni che si avvicendano e al quale abbiamo acconsentito di identificarci.
Tutto ciò mi porta a vedere la vita come un’unica sensazione che apparentemente si protrae in un continuum di esperienze: in realtà c’è un solo “ora” che contiene mondi, galassie, millenni e giornate. La mente tuttavia inventa una sequenza temporale che dà l’impressione di una lunga storia, invece è solo come un sogno che appare come vicenda avventurosa, mentre dura solo un istante. La vita “personale” è dunque un’allucinazione e le vicende di popoli, un’allucinazione collettiva.
Possiamo quindi dedurne che non siamo mai nati, visto che quello che consideravamo ’’nato’’ è solo un insieme di sensazioni evanescenti di un sistema nervoso labile, in definitiva senza realtà stabile. Di conseguenza anche la morte non ha più senso. In effetti, che si sappia, nessuno l’ha mai sperimentata, ma solo immaginata e temuta.
Alcuni arrivano ad identificarsi persino all’infinito, all’illimitato, ma che cosa significa? Un essere che non ha mai avuto inizio né fine, significa che non è mai esistito, rimane un’immaginazione, una congettura. Ciò che “esiste” è definibile, concepibile e misurabile. Per creare una dimensione occorre un punto stabilito. Se questo “punto iniziale” è anch’esso una convenzione, eccoci immersi di nuovo nella misura che equivale in sanscrito a “maya”, limitazione della forma, miraggio.
Non ci si rende conto che credersi vasti ed illimitati come la coscienza è come dire non sono mai esistito. Il senso di essere diventa un’ombra che svanisce sotto questi riflettori, quindi scompare com’era arrivato, un ospite inatteso, o piuttosto un fantasma nemmeno tanto gradito. Finché respiro, lo accetto, ma non mi prende più in giro. Ammiro l’arcobaleno, pur vedendolo come pura luce indifferenziata. Ora sono convinta che in tutto quello che ho imparato, in tutta la conoscenza, per quanto vasta profonda, non c’è un’ombra di verità. Solo un grande magnifico bluff. E allora vale la pena di sciorinarlo?
Questo “non-stato” naturale, senza possibilità di definizione alcuna, è non solo il nostro “viso originale”, ma ciò che ci attira a sé, anche se ci fa credere che siamo noi a cercarlo. Ci guida e ci fa assaporare in mille modi l’ebbrezza della libertà totale, per invogliarci ad andare fino in fondo a ritrovarlo nella nostra estremità oscura che ci intimorisce più di un incubo di una prigione senza luce. Invece ci perdiamo nei labirinti oggettivi, nelle giungle di effimeri piaceri, nei paradisi artificiali che si rivelano falsi. Esso è indipendente dal programma che si svolgerà nel manifesto. In realtà è prima del nostro stesso respiro, sempre presente, mille anni fa, qui ora, tuttavia impacchettato da strati di pellicole senza valore.
La libertà assoluta è l’ignoto che siamo sempre.
Siamo sotto l’influenza di una fortissima ipnosi. Anche se crediamo di aver intuito la realtà della nostra vera natura, il teatro di questo spettacolo virtuale con le sue luci avvincenti, tende ad affascinarci e ci identifichiamo di nuovo ai personaggi. Non sottovalutiamone il potere sempre insidioso.