di Isabella di Soragna
di John Wren-Lewis da un articolo del “Journal of transpersonal Psychology”, intitolato “Effetti secondari di un’esperienza NDE o di vicino-morte: ipotesi di meccanismo di sopravvivenza”
.
Premessa
Quello che successe nel 1983 può essere tecnicamente classificato come esperienza di vicino-morte o NDE (come usano dire in inglese), benché mancassero le visioni drammatiche che tendono a dominare nei racconti dei giornalisti e degli eruditi. Mentre giacevo in un letto d’ospedale in Tailandia, dopo essere stato avvelenato da un mancato ladro su una corriera che percorreva lunghe distanze, vi furono ore in cui i medici disperavano di potermi salvare.
Tuttavia non ebbi visioni fuori dal corpo di quanto stava succedendo, nessuna rassegna del mio passato, nessun tunnel nero verso una luce o paesaggio celestiale e nessun incontro con creature angeliche o parenti deceduti che mi dicessero di ritornare nel mondo perché la mia opera non era ancora terminata. Benché avessi perso qualsiasi paura della morte quando infine risuscitai, questo non ebbe (e non ha tutt’ora) alcun’ influenza nel credere in un’anima immortale che possa sopravvivere oltre la morte. Al contrario, essa ha una grande importanza invece, con una dimensione di vita “qui ed ora” che rende la nozione di sopravvivenza alquanto secondaria in questo o in un altro mondo. Questo rende ogni istante così incredibilmente soddisfacente che anche il successo o il fallimento di un’attività creativa diventa relativamente poco importante. In altre parole sono stato liberato da quello che William Blake (poeta inglese dell’800) chiama ”l’ossessione del futuro ”- cosa che prima di questo avvenimento consideravo un’impossibilità psicologica.
Con continua meraviglia da più di 10 anni questa liberazione ha reso la mia vita quotidiana in senso pratico ancora più efficiente, appunto perché… continua la lettura su riflessioni.it